Paziente dimesso dal PS muore: colpevole il radiologo che non ha visto l’emorragia dalla TAC?

Paziente dimesso dal PS muore: colpevole il radiologo che non ha visto l’emorragia dalla TAC?

Pronunciandosi sul ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello aveva confermato la condanna inflitta in primo grado ad un medico radiologo, per il reato di omicidio colposo in danno di un paziente a causa di una emorragia cerebrale, la Corte di Cassazione (sentenza 3 febbraio 2021, n. 4063) – nell’accogliere la tesi difensiva, secondo cui nell’esame della sua responsabilità i giudici non avevano considerato i parametri normativi introdotti dalla cd. legge Balduzzi, essendo stata inoltre la sua condotta assolutamente conforme alle linee guida vigenti che regolano l’attività del medico radiologo, con la conseguenza che nella valutazione del caso, si sarebbe dovuto tener conto della normativa introdotta dalla c.d. legge Gelli – Bianco, mancando di valutare il comportamento del radiologo in relazione alle linee guida a cui doveva attenersi – ha condiviso quanto sostenuto dalla difesa, rilevando che, da un lato, la Corte di appello avrebbe, da un lato, dovuto verificare la esistenza di linee guida, stabilire il grado di colpa tenendo conto del discostamento da tali linee guida o, comunque, del grado di difficoltà dell’atto medico, stabilendo la qualità della colpa (imprudenza, negligenza imperizia) ed il suo grado al fine di verificare se il caso rientri in una delle previsioni più favorevoli. Dall’altro, carente è stato ritenuto l’aspetto riguardante il profilo del giudizio controfattuale, non esaminato dal giudice d’appello che non si era interrogato sulle conseguenze salvifiche di un intervento appropriato del sanitario, ciò in quanto l’errore, ex se, non vale a tradursi nell’immediato riconoscimento della responsabilità.

Cassazione penale, sezione IV, sentenza 3 febraio 2021, n. 4063

 

 

 

 

Ai fini del risarcimento del danno da perdita di congiunto occorre provare la effettività e la consistenza della relazione parentale

Ai fini del riconoscimento del danno da perdita di congiunto occorre provare la effettività e la consistenza della relazione parentale.

In caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale “da uccisione”, proposta iure proprio dai congiunti dell’ucciso, questi ultimi devono provare la effettivita’ e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma puo’ costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità’, e ciò’ anche ove l’azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno; infatti, non essendo condivisibile limitare la “societa’ naturale”, cui fa riferimento l’articolo 29 cost., all’ambito ristretto della sola cd. “famiglia nucleare”, il rapporto nonni-nipoti non puo’ essere ancorato alla convivenza, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo automaticamente, nel caso di non sussistenza della stessa, la possibilita’ per tali congiunti di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarieta’ con il familiare defunto (precedente conforme cass. civ. 21230 del 2016).

SENTENZA

FATTI DI CAUSA

In conseguenza del decesso di (OMISSIS), avvenuto a causa di un sinistro stradale dopo due giorni dall’incidente, agirono in giudizio, nei confronti di (OMISSIS) (proprietario e conducente della vettura che aveva investito il (OMISSIS) mentre attraversava la strada) e della sua assicuratrice (OMISSIS) s.a., la moglie (OMISSIS), la figlia convivente (OMISSIS), in proprio e in nome e per conto della figlia minore (OMISSIS), nonche’ il figlio (OMISSIS), in proprio e in nome e per conto dei figli minori (OMISSIS) e (OMISSIS).

Entrambi i convenuti si costituirono in giudizio resistendo alle domande.

Il Tribunale di Milano accerto’ la responsabilita’ dello (OMISSIS) nella determinazione del sinistro (fatto salvo un concorso colposo del (OMISSIS) nella misura del 10%) e condanno’ i convenuti, in solido, a risarcire il danno non patrimoniale in favore della (OMISSIS) e dei figli della vittima (liquidando al figlio non convivente un importo inferiore a quello riconosciuto alla figlia convivente) nonche’ in favore della nipote (OMISSIS) (coabitante col nonno deceduto), mentre nego’ il risarcimento ai nipoti non conviventi col (OMISSIS); riconobbe inoltre alla vedova e ai due figli della vittima il risarcimento del danno non patrimoniale iure hereditatis (liquidandolo in Euro 1.000,00 per ciascuno), mentre nego’ alla (OMISSIS) il risarcimento del danno patrimoniale (fatto salvo il rimborso delle spese funebri).

Pronunciando sui gravami riuniti proposti da entrambe le parti, la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado.

Hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, la (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), quest’ultima anche in nome e per conto della figlia minore (OMISSIS); ha resistito, con controricorso, la sola (OMISSIS) PLC.

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. I motivi (che deducono tutti “violazione e falsa applicazione degli articoli 2727 e 2729 c.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3 e piu’ precisamente dei criteri e delle regulae iuris dettate da tali norme di diritto, che presiedono alla valutazione delle prove, anche di natura presuntiva”) censurano, sotto vari profili, le statuizioni della Corte relative alla liquidazione dei danni.
  2. Il primo motivo censura la sentenza nella parte in cui ha negato alla (OMISSIS) il risarcimento del danno patrimoniale, richiesto in relazione alle conseguenze che la morte del (OMISSIS) aveva provocato nella situazione aziendale della s.a.s. (OMISSIS), di cui la vittima era socio accomandatario: si assume che la Corte, come gia’ il primo giudice, non ha considerato che erano stati documentalmente provati i maggiori costi sostenuti per affidare ad un terzo l’attivita’ precedentemente svolta dal (OMISSIS), risultando pertanto dimostrata “una notevole diminuzione del reddito della (OMISSIS) sas e di conseguenza della famiglia (OMISSIS)”.

2.1. Il motivo e’ inammissibile in quanto non sottopone ad adeguata critica la ratio della decisione impugnata, che ha evidenziato come la documentazione dei costi aziendali (peraltro effettuata “in maniera del tutto generica”) non fornisse prova sufficiente del “danno conseguenza”, in quanto non era stato dimostrato quale fosse, al di la’ del ruolo formale di socio d’opera, il concreto apporto della vittima (ormai settantenne) nella produzione del reddito dell’officina meccanica.

  1. Il secondo motivo censura la Corte per avere negato il risarcimento del danno parentale ai nipoti (ex filio) non conviventi con la vittima, affermando che “la lesione da perdita del rapporto parentale subita da soggetti estranei al ristretto nucleo familiare come nel caso di specie e’ risarcibile ove sussista una situazione di convivenza, quale connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimita’ delle relazioni di parentela anche allargate, solo in tal modo assumendo rilevanza giuridica il collegamento tra danneggiato primario e secondario”.

Sostengono i ricorrenti che, in conformita’ a giurisprudenza di legittimita’ (Cass. Civ. n. 15019/2005 e Cass. Pen. n. 29735/2013) e di merito, il rapporto tra nonno e nipote deve essere riconosciuto come “legame presunto che legittima il risarcimento per la perdita familiare”, a prescindere dal rapporto di convivenza.

3.1. Il motivo e’ fondato, in conformita’ al principio secondo cui, “in caso di domanda di risarcimento del danno non patrimoniale “da uccisione”, proposta iure proprio dai congiunti dell’ucciso, questi ultimi devono provare la effettivita’ e la consistenza della relazione parentale, rispetto alla quale il rapporto di convivenza non assurge a connotato minimo di esistenza, ma puo’ costituire elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondita’, e cio’ anche ove l’azione sia proposta dal nipote per la perdita del nonno; infatti, non essendo condivisibile limitare la “societa’ naturale”, cui fa riferimento l’articolo 29 Cost., all’ambito ristretto della sola cd. “famiglia nucleare”, il rapporto nonni-nipoti non puo’ essere ancorato alla convivenza, per essere ritenuto giuridicamente qualificato e rilevante, escludendo automaticamente, nel caso di non sussistenza della stessa, la possibilita’ per tali congiunti di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarieta’ con il familiare defunto” (Cass. n. 21230/2016), in tali termini dovendosi considerare superato il diverso orientamento richiamato dalla sentenza impugnata.

Deve dunque ritenersi che anche il legame parentale fra nonno e nipote consenta di presumere che il secondo subisca un pregiudizio non patrimoniale in conseguenza della morte del primo (per la perdita della relazione con una figura di riferimento e dei correlati rapporti di affetto e di solidarieta’ familiare) e cio’ anche in difetto di un rapporto di convivenza, fatta salva, ovviamente, la necessita’ di considerare l’effettivita’ e la consistenza della relazione parentale ai fini della liquidazione del danno.

  1. Il terzo motivo censura la Corte per non avere risarcito integralmente il danno subito dalla nipote convivente (OMISSIS).

4.1. Il motivo e’ inammissibile, poiche’, senza censurare adeguatamente la sentenza (nella parte in cui ha evidenziato la genericita’ dell’analogo motivo di appello, in quanto “non supportato da alcuna motivazione, al limite dell’inammissibilita’”) e senza individuare alcun error iuris, si limita a sollecitare un diverso apprezzamento di merito sull’adeguatezza della misura del risarcimento spettante alla minore.

  1. Il quarto motivo impugna la sentenza “nella parte in cui non e’ stato integralmente risarcito il danno non patrimoniale subito da (OMISSIS)”, cui e’ stato liquidato un importo di 180.000,00 Euro a fronte dei 220.000,00 Euro liquidati alla sorella.

5.1. Il motivo e’ inammissibile, poiche’ non e’ sindacabile l’apprezzamento (di merito) che ha condotto la Corte a ritenere che il figlio non convivente avesse subito un pregiudizio meno grave di quello della sorella convivente col padre, trattandosi di una valutazione basata su indici oggettivi (l’allontanamento dalla casa paterna, il “naturale affrancamento” dai genitori e il diverso atteggiarsi dei rapporti con essi nella vita quotidiana) che si’ prestano a giustificare una liquidazione differenziata del danno.

  1. Il quinto motivo censura la sentenza “nella parte in cui non e’ stato integralmente risarcito il danno non patrimoniale iure hereditatis”: si assume che gli importi liquidati (1.000,00 Euro per la vedova e per ciascun figlio) “si appalesano assolutamente inadeguati”, sia alla luce di precedenti giurisprudenziali che avevano liquidato importi molto superiori, sia alla luce del riconoscimento del danno da perdita della vita compiuto da Cass. n. 1361/2014.

6.1. Il motivo e’ inammissibile nella parte in cui fa riferimento al danno per la perdita della vita, dato che introduce un tema nuovo (che non e’ stato trattato dalla sentenza impugnata e che non risulta dedotto nelle fasi di merito) oltreche’ superato alla luce di Cass., S.U. n. 15350/2015; per il resto, la censura esprime una generica e non consentita istanza di rivalutazione del merito, funzionale alla liquidazione di un maggio re importo.

  1. Accolto pertanto il secondo motivo e dichiarata l’inammissibilita’ dei restanti, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di merito, che provvedera’ anche sulle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte, dichiarati inammissibili gli altri motivi, accoglie il secondo, cassa in relazione e rinvia, anche per spese di lite, alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione.

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 7 dicembre 2017, n.29332

 

 

 

 

 

Se l’incidente stradale è causato da una condotta colposa, il reato scatta anche se la vittima ha una malattia terminale

Se l’incidente stradale è causato da una condotta colposa, il reato scatta anche se la vittima ha una malattia terminale

Se l’incidente stradale è causato da una condotta colposa, il reato scatta anche se la vittima ha una malattia terminale. Sono infatti irrilevanti le condizioni disperate di salute di una giovane affetta da un’epatite fulminante che l’avrebbe comunque portata alla morte, probabilmente poche ore dopo l’incidente che le è stato fatale.

La ragazza era morta, infatti, in seguito alle complicazioni di un intervento che si era reso necessario dopo la sua caduta dal motorino dovuta alla condotta colposa del ricorrente.

Il rapporto di causalità tra l’azione e l’evento può escludersi solo quando si verifica una causa autonoma e successiva che si inserisca nel processo causale in modo eccezionale, atipico e imprevedibile, circostanze che, nel caso esaminato, non si sono verificate, per cui non è possibile ritenere che la morte si sarebbe comunque verificata, nei tempi accertati, in assenza della caduta.

Corte di Cassazione Sezione 4 penale, Sentenza del 24 gennaio 2011, n. 2302